È uno dei capolavori di Stephen King e “Misery” (al cinema “Misery non deve morire“) è anche l’incubo di ogni scrittore di successo o di un qualsiasi personaggio famoso. Lo script, infatti, è semplice: uno scrittore di successo viene rapito e fatto prigioniero da un fan fuori di testa. Semplice ma terribile, è l’espressione più estrema dello stalking.
Il fatto è che il romanzo non parla davvero di questo…

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LA TRAMA DEL LIBRO “MISERY”

La storia comincia con lo scrittore Paul Sheldon, autore della serie “Misery” sulle vicende di Misery Chastain, che esce lentamente dal coma e comincia a ricordare tutta la vicenda: dopo un incidente in auto durante una tempesta invernale è stato salvato da una donna Annie Wilkes, un’ex infermiera professionista che lo ha curato personalmente. La Wilkes, tra l’altro, è una sua grande fan e attende il nuovo capitolo della saga di Misery. La donna sembra gentile, ma con il tempo lui scopre che è mentalmente malata, non ha detto a nessuno che lui sta con lei e in passato è stata una serial killer. Quando scopre che alla fine de “Il figlio di Misery” la sua amata eroina muore dando alla luce un neonato lei perde la testa e obbliga Paul a scrivere un nuovo romanzo “solo per lei” riportando in vita la protagonista.
Non andiamo oltre per non spoilerare troppo.

COME È NATO E LO SVILUPPO DEL LIBRO “MISERY”

L’idea originale di “Misery”, ovvero di uno scrittore reso prigioniero da un suo fan è venuta nella testa di Stephen King durante un volo verso Londra. Giunto nella capitale inglese, King si è recato nel suo hotel (il Brown’s Hotel) e ha iniziato a scrivere degli appunti dell’idea: 16 pagine di block notes. Una curiosità: il concierge dell’hotel gli mise a disposizione la scrivania dove era solito scrivere, e dove era morto per un colpo apoplettico, lo scrittore Rudyard Kipling (autore di capolavori come “Il libro della giungla” e “Capitani coraggiosi”).

All’inizio avrebbe dovuto essere un racconto breve chiamato “The Annie Wilkes Edition” in cui Annie costringeva Sheldon a scrivere il libro, poi lo uccideva e con la sua pelle realizzava la copertina del libro. Macabro? È pur sempre Stephen King. Sviluppandolo, però, si è reso conto che sarebbe potuto diventare un libro vero e così lo ha fatto. Tra l’altro, il libro avrebbe dovuto essere firmato da Richard Bachman (il suo pseudonimo ufficiale).

COME È NATO E LO SVILUPPO DEL FILM “MISERY NON DEVE MORIRE”

Dal libro fu realizzato il film che a fronte di un budget di 20 milioni di dollari, incassò 61.276.872 dollari al botteghino solo negli Stati Uniti. Il film ha anche vinto il premio Oscar e il Golden Globe andato a Kathy Bates come miglior attrice ed è stato inserito dall’American Film Institute al 17º posto nella classifica dei 50 migliori “cattivi” del cinema statunitense.
Tutto è partito dal produttore Andrew Scheinman che aveva letto il libro durante un viaggio in aereo. Questi ne parlò con il regista Rob Reiner che era reduce da “Harry ti presento Sally” ma che aveva già diretto “Stand by Me – Ricordo di un’estate”, tratto da un altro libro di Stephen King.

Inizialmente il ruolo di Sheldon è stato offerto a William Hurt, poi a Kevin Kline, Michael Douglas, Harrison Ford, Dustin Hoffman, Robert De Niro, Al Pacino, Richard Dreyfuss, Gene Hackman e Robert Redfort. Tutti hanno rifiutato tranne Warren Beatty che avrebbe voluto farlo ma che ha dovuto rinunciare perché stava girando “Dick Tracy”. Alla fine è stato offerto a James Caan.
Per il ruolo di Annie Wilkes, invece, le idee iniziali erano Anjelica Juston e Bette Midler, che però rifiutarono. Fu scelta Kathy Bates che però fu una scommessa perché era quasi sconosciuta.

IL VERO SIGNIFICATO DI “MISERY”

E veniamo al punto. L’idea di una fan psicopatica che vuole uccidere il suo scrittore preferito perché questi vuole uccidere il suo personaggio preferito fa impressione, ma non è la vera idea dietro il libro. “Misery”, infatti, è una grande metafora del periodo storico che stava vivendo King in quel periodo.  All’epoca, infatti, Stephen King faceva uso di droghe e alcol e la Wilkes in realtà era la sua condizione di tossicodipendenza. Lo ha spiegato lo stesso scrittore nel libro “On Writing” e confermato dal suo biografo Bev Vincent autore di “Stephen King. La guida definitiva al Re“:

«Molti hanno pensato che Misery volesse parlare proprio del suo rapporto coi fan. Invece parlava, sotto forma di metafora, dell’evento che più di ogni altro ha influenzato la sua vita: la dipendenza dalla droga e dall’alcol».

 

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Foto: Copertina della versione di Sperling&Kupfer