Domanda: Tutti parlano di Fake News, ma a me sembra che anche altre cose a cui crediamo non siano proprio verissime. Perché allora ci crediamo?

Si parla tanto di “fake news” ma invece di parlare delle notizie inventate dovremmo chiederci perché esistono, perché “abbocchiamo” a qualsiasi chiacchiera troviamo in giro senza verificare prima le fonti. E la risposta è facile: perché l’essere umano ha un disperato bisogno di credere in qualcosa.
Attenzione, non ci riferiamo solo alle strampalate notizie di salute o di politica che si leggono sui social, ma anche ai pettegolezzi dei colleghi di ufficio, a quello dei compagni di scuola, alle voci dei vicini e anche a questioni più profonde come la religione, la politica, il proprio partner. 

«Le persone sono attratte da tutto ciò che ha una spiegazione drammatica, eccitante e sinistra. È come se le fake news fossero lo zucchero che appaga i loro palati».
David Quammen

COSA È UNA FAKE NEWS? E PERCHÉ CI CREDIAMO?

Cominciamo dal punto di partenza. Cos’è una fake news? Una notizia non vera che viene spacciata per tale e per questo chi la legge finisce per crederci. Una cosa tipica dei social? Dipende. La superstizione è realtà oggettiva? Eppure molti non passano sotto le scale o fanno dei rituali beneauguranti prima di fare qualcosa di importante. La lettura delle carte o delle mani? I numeri sognati? L’astrologia? Per certi versi, anche le religioni basate su alcuni miti del passato non hanno un valore del tutto storico. Al di là del dibattito sull’esistenza stessa di Gesù Cristo, per dire, ci sono fenomeni come il sangue di San Gennaro o molte reliquie su cui non c’è nulla di scientifico, anzi, e quindi si basa tutto sulla credenza. Ad esempio, quanto sarebbe grande la croce di Gesù se unissimo tutte le reliquie che ci sono in giro per il mondo? In passato qualcuno ci ha anche provato. Nel Medioevo le reliquie sono state utilizzate per convincere il popolo dando loro un segno tangibile, ma quante di quelle risalenti a Gesù sono vere? Nessuno può dirlo con certezza, si può scoprire se il materiale o il tempo sia compatibile, ma non che appartenga proprio a quella persona o a quell’oggetto. Anche perché non ci sono reali prove storiche di una vera esistenza di Gesù.
La domanda però è: questo è importante? Alla fine la questione è: credo o non credo a qualcosa? Ecco, questo è lo stesso concetto alla base delle “fake news”, solo che al posto della religione ci sono metodi di guarigione basati su sistemi che non portano alcun beneficio (anzi, tuttaltro) o dichiarazioni e azioni politiche che non sono reali. E così via. Tutto si basa sulla fantasia di chi crea queste notizie.

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Gli ufo esistono o no? Quella luce nel cielo che hai visto, era un ufo o altro? Difficile da dire perché non ci sono prove. E se non ci sono prove allora tutto sta alla discrezione personale. (via Giphy)

CERCHIAMO CONFERME ALLE NOSTRE TEORIE

Perché crediamo a tutto prendendo per buona la prima cosa che leggiamo? Rick Shenkman della George Washington University sostiene che i nostri cervelli siano “naturalmente” di parte e non disposti a cambiare idea. Al “Sole 24ore” il genetista Edoardo Boncinelli si dice convinto che:

«la razionalità non è il nostro forte. Ciò può essere imputato a ignoranza, a stupidità, a indifferenza o in malafede. Si tratta di interpretazioni ovviamente, e non è affatto detto che una di queste colga il segno. Il riassunto è che la gente crede a quello che vuole credere e quello che non gli piace non lo sente nemmeno». 

IL LIBRO CONSIGLIATO PER SAPERNE DI PIÙ

Ci sentiamo di consigliare il bel libro di Valentina Petrini, giornalista nata e cresciuta a Taranto che inchiesta dopo inchiesta si è ritagliata uno spazio importante e meritato in tv fra “Malpelo”, “Exit”, “Piazzapulita”, “Nemo – Nessuno escluso” e “Fake – La fabbrica delle notizie” che conduce personalmente. È stata finalista al premio Ilaria Alpi con l’inchiesta “La macchina del consenso”, in cui ha raccontato gli intrecci tra ’ndrangheta, politica e sanità in Calabria e ha vinto il concorso internazionale DIG Awards con il reportage “Travelling with the refugees”, in cui si è finta una profuga attraversando a piedi i Balcani. Nel suo libro “Non chiamatele Fake News” spiega come e perché nascono le fake news sfatando molte notizie che, purtroppo, girano sui social. Consigliatissimo.

Non chiamatele Fake News di Valentina Petrini

NON VOGLIAMO LA VERITÀ, VOGLIAMO

Non solo, quando la persona con cui stiamo discutendo ci porta delle argomentazioni valide che smantellano palesemente le nostre idee formate dalle fake news (“debunking”), noi reagiamo, non ascoltiamo cercando di capire, ma attacchiamo ipotizzando chissà quali ragioni ci siano sotto, come se noi avessimo la verità assoluta e chi ci dà contro avesse dei secondi fini: «Una convinzione molto radicata impedisce a molte altre di essere prese in considerazione e rende la gente sorda a tutto ciò che potrebbe confliggere con questa convinzione» spiega Boncinelli che simula una classica risposta con cui tutti abbiamo avuto a che fare sui social (e non solo): «Dicano quello che vogliono, ma io sono più smart! E poi perché lo dicono? Che cosa c’è sotto?». 

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Ci sei cascato, eh? (via Giphy)

LE TEORIE COMPLOTTISTE

E qui spuntano le tanto amate teorie complottiste, quelle che secondo la psicologa Karen Douglas, docente all’Università del Kent, «ad un certo livello siamo tutti predisposti ad essere sospettosi sulle attività di governo» ha detto alla “Bbc” spiegando che in base a molte ricerche psicologiche, queste teorie ci piacciono tanto perché soddisfano il nostro bisogno narcisistico di essere unici (“io so qualcosa che gli altri non sanno”) ed alleviano la nostra ansia (“c’è qualcos’altro che rende dura la mia vita in quanto essere umano”, “c’è un nemico superiore che non posso combattere e che mi vuole schiacciare”). 

IL PROLIFERARE DELLE FAKE NEWS

Per questo ogni spiegazione è potenzialmente vista come un modo del “nemico” di manipolare gli altri. Ne derivano tantissime convinzioni che in realtà non hanno nulla di vero perché sono solo “fake news” ripetute e ripetute sui social finché non si finisce per crederci. Secondo una ricerca “Ipsos” del 2018 gli italiani pensavano che il 48% della popolazione avesse più di 65 anni (in realtà era il 21%), che metà degli italiani fossero disoccupati (era 10,9% nel febbraio 2018), che il 35% fosse ateo (il 12%) e che gli immigrati residenti in Italia fossero il 26% (reale 8,3%).
Ora chiediti, perché sui social qualcuno dovrebbe perdere il suo tempo per creare siti internet o pagine social spendendo soldi su soldi per veicolare queste informazioni? È come un bombardamento: le leggi una volta e le consideri spazzatura, poi ti ricapitano, ti ricapitano, trovi altre fonti (inventate) che confermano quella prima informazione e finisci per crederci. A quel punto ti convinci di una idea e, domanda, quale prodotto acquisterai o quale partito voterai? Creata la convinzione, ti butterai su chi ti dà la soluzione. Peccato che il problema, in realtà, non esiste o, quantomeno, è molto meno imponente di quello che ti sembra ora.

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È difficile, lo sappiamo, ma non bisogna mai accettare la prima cosa che ci viene detta, soprattutto se ha a che fare con la politica, con la salute e con qualche altra sfera che può recare un danno a noi o agli altri. (via Giphy)

COME SI FORMANO QUESTE CREDENZE

Difficilmente si sceglie di rimanere indipendenti sull’informazione perché risulta troppo impegnativo: a volte si tira ad indovinare, ma più frequentemente ci si attiene a quello che pensano gli altri. A “Focus” Mark Earls, esperto di marketing e comunicazione, spiega che

«Una delle caratteristiche fondamentali dell’essere umano è poter affidare agli altri la fatica di informarsi e farsi un’opinione. Sapere da chi copiare e che cosa copiare è stato il segreto della sopravvivenza della nostra specie»

Il fatto è che copiamo chi ha idee simili alle nostre e se le notizie sono false, pazienza, noi gli crediamo. Il problema è anche nel modo in cui sono scritte le “fake news” che devono toccare l’emotività di chi legge: «Diventa sempre più difficile ragionare attraverso i numeri su argomenti che toccano le nostre corde emotive» spiega Chiara Ferrari, ricercatrice Ipsos, avvalorando una tesi del sociologo William Davies che al “The Guardian” è chiaro: la statistica per come la conosciamo oggi non ha più senso. Ad esempio, la disoccupazione è normalmente utilizzata per stabilire come va l’economia e come sta un Paese «ma è un dato che maschera il fenomeno della sottoccupazione, cioè delle tante persone che non lavorano abbastanza o non riescono a trovare un impiego adeguato alla propria qualifica. – spiega – Finché i politici continueranno a difendersi citando il tasso di disoccupazione, l’esperienza di chi non riesce a lavorare abbastanza per vivere non sarà rappresentata nel dibattito pubblico».

PERCHÉ CREDIAMO? OK, FACCIAMO UNA PROVA

Immaginiamo che noi pubblicassimo un articolo in cui si scrive di un farmaco chiamato X, che normalmente viene utilizzato come sonnifero, possa guarire dal Covid-19. Detta così non avrebbe senso, giusto? La bolleresti come fake news.
Ok, riformuliamo la questione. L’articolo potrebbe essere su qualcosa tipo: «Dal Covid-19 si guarisce facilmente con un farmaco che costa 2 euro e che trovi in farmacia. Ma non te lo dicono perché vogliono venderti il vaccino o gli anticorpi monoclonali».
Abbiamo inserito un elemento essenziale: il nemico. Che non è il virus, ma le Big Pharma. È chiaro che ancora non ci crederesti perché lo scriveremmo solo noi. Se però noi facessimo parte di una società di marketing con scopi specifici (obiettivo: vendere quello specifico farmaco, far conoscere quel farmaco, far guadagnare voti ai partiti che criticano la gestione sanitaria…) allora creeremmo da zero altri 10, 20 siti web con poche pagine, quasi delle landing page, e decine, centinaia di pagine e profili social tramite dei bot (software che simulano il comportamento umano) che inizierebbero a rilanciare e a condividere questi articoli.
Illegale? Già, ma così è.
A volte ci caschiamo anche noi, ci cascano tutti. Se questo articolo diventasse virale, è ovvio che ne parleremmo anche noi. Il risultato? La gente inizierebbe a nutrire dubbi nella medicina, nella gestione sanitaria, quel farmaco sarebbe venduto, le azioni della società schizzerebbero in alto, i partiti di opposizione prenderebbe voti, e… 

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Purtroppo non è facile. (via Giphy)

NON TUTTO È FAKE NEWS

La questione è complessa perché a volte ci sono effettivamente delle notizie che sembrano delle fake news ma che fake news non sono. Rimanendo al Covid-19, ci sono medici che effettivamente lo hanno curato attraverso dei protocolli che hanno sviluppato basandosi sull’esperienza. È il caso dell’uso del plasma, dell’idrossiclorichina, degli antibiotici, del cortisone, e così via. Erano fake news inventate? No, erano vere. In quel momento. Poi la comunità scientifica ha fatto le sue ricerche e hanno scoperto che erano quasi delle casualità o che, comunque, non potevano essere delle terapie standardizzabili valide per tutti. All’inizio non erano fake news. Se poi, però, una volta che è stato scoperto che queste terapie non portavano benefici, eppure vengono rilanciate delle notizie («non vogliono usarlo perché costano poco») allora diventano delle fake news.

 

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Credit foto: Matryx (Pixabay)